Un articolo di pochi giorni fa di Gian Antonio Stella, in prima pagina sul Corriere della Sera, parlava della velocità di download e quindi di scaricamento di dati dalla rete e la nostra posizione nel mondo come velocità, siamo al novantottesimo posto, dopo la Grecia e davanti al Kenya. In questi anni abbiamo fatto dei passi da gambero, nel 2010 eravamo al settantesimo posto, nel dicembre 2012 ottantaquattresimo, con i nostri 8,51 megabyte al secondo siamo ultimi tra i paesi del G8, penultimo è il Canada, che però ha tre volte la nostra velocità. Il turismo in Europa dipende per un quarto dal Web, però cresce fino al 39 % nel Regno Unito e in Italia scende al 17%. Il web è un creatore di posti di lavoro, in Italia sono 6 volte più degli addetti del settore della Chimica, e si tratta di ben 700 mila posti. Eppure di fronte a un quadro così, stando alle bozze dello sblocca Italia vengono limitati gli aiuti per l’estensione della banda larga. Nell’ultimo Report del World Economic Forum è stata valutata la competitività delle nazioni. In questo rapporto, che è disponibile in rete per chi lo vuole cercare, l’Italia è posizionata al 49° posto, prima del Kazakistan e dopo la Lituania. Secondo l’OECD nei paesi più industrializzati la media della penetrazione è del 26%, mentre l’Italia è al 22%. Molti altri paesi hanno risultato estremamente più lusinghiero. Per ogni 10% di incremento della banda larga è stimato che ci sia una crescita dell’1,21% del prodotto interno lordo. Vediamo anche nell’ambito delle borse internazionali, negli ultimi 10 anni la crescita dei mercati è stata per il Nasdaq, che è il mercato tecnologico americano, dell’8,72%, per il Dow Jones più o meno la metà, il 4,91%, la crescita delle prime 500 società listate è stata di 5,75%. Quindi investire in tecnologia, in innovazione, non solo fa crescere il Pil, ma anche le industrie e le società, oltre a creare occupazione. Negli ultimi 10 anni si sono affacciati nel mondo della tecnologia e delle grandi imprese un po’ tutte le nazioni del mondo, non soltanto quelle tradizionali degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, dalla Cina al Giappone, alla Russia, alla stessa Argentina, nuovi player importanti italiani invece non risultano.