San Fele si racconta

San Fele si racconta “Giorno 2”

 

PREMESSA: per continuare a trasmettere entusiasmo, bellezza e conoscenza, ma soprattutto per continuare a far vivere un’esperienza di immersione virtuale attraverso lo schermo ai tanti curiosi, ed anche ai sanfelesi fuori e dentro i confini, le rubriche quotidiane sono state così pensate:
LUNEDI’: STORIA
MARTEDI’: RELIGIONE
MERCOLEDI’: POESIA
GIOVEDI’: TERRITORIO
VENERDI’: GASTRONOMIA
SABATO: CURIOSITA’ E PERSONAGGI ILLUSTRI
DOMENICA: CULTURA GENERALE

N.B. Chiunque abbia voglia di contribuire in qualche modo, si faccia avanti! Verranno resi noti gli autori delle varie rubriche quotidiane. Grazie!

Non possiamo che iniziare la rubrica del martedì con il primo vero insediamento ecclesiale: il Santuario della Madonna di Pierno. Come la maggior parte dei monasteri, anche questo è stato edificato in una posizione isolata alle pendici di un monte, in loco horroris et vastae solitudinis. Fondato, secondo la tradizione, da San Guglielmo da Vercelli nel 1139 nel feudo di Armaterra a circa 10 km dal centro abitato, in seguito al ritrovamento in una grotta di una statua di legno della Vergine col Bambino, nascosta dai monaci Romiti Basiliani, fuggiti a Santa Croce per le incursioni Saracene.
Negli scavi effettuati di recente, i resti rinvenuti negli strati più antichi sembrano rivelare l’esistenza di un cenobio prenormanno, per cui non è improbabile che la Badia sia stata solo “rifondata” da S. Guglielmo. Il complesso, appartenente ai frati verginiani, era costituito dalla Chiesa, con annessi due monasteri e la grancia, che occupavano l’area dell’attuale piazza. La struttura fu aggregata da San Guglielmo come suffraganea al grande Monastero femminile di San Salvatore del Goleto da lui fondato dopo quello di Montevergine. La comunità monastica di Pierno era formata da “oblati” con a capo un priore nominato dalle badesse del Goleto.
L’attuale Chiesa che racchiuse la chiesa primitiva è una dei pochi monumenti religiosi medioevali di grande pregio che abbia la Lucania.
Il Bertaux, nell’opera “Sulle vie dei pellegrini e degli emigranti” scrisse “trattasi di uno dei monumenti più interessanti dell’Italia meridionale, in quanto presenta decorazioni tipiche di culture diverse: da quella araba a quella bizantina, da quella romanica a quella normanna”.
Due iscrizioni latine, scolpite nell’architrave e nella lunetta del portale d’ingresso ci dicono che il nuovo tempio fu fatto costruire quale “ex voto”, da Gilberto di Balvano, uno dei più potenti signori del Regno e feudatario del luogo, nel 1189 e fino al 1197. Il costruttore fu Magister Sarolus con il fratello Ruggiero ed altri maestri di Muro Lucano. Il tempio fu consacrato nel 1224 da papa Onorio III. 
I conti di Balvano l’arricchirono di estesi possedimenti terrieri nella zona di Armaterra e Vitalba che nel XIII secolo raggiunsero le dimensioni di un feudo. 
Con la morte di Federico II e l’avvento di re Manfredi, la grancia di Pierno fu soggetta a spoliazioni da parte del conte siciliano Manfredi Maletta, camerario e zio materno di re Manfredi. A far restituire i beni usurpati provvide il re Carlo D’Angiò. 
Il 5 dicembre 1456 un terremoto distrusse buona parte della Chiesa. Si racconta che la statua della Madonna più volte venne portata ad Atella e che altrettante volte venne ritrovata, miracolosamente, su una grande pietra tuttora chiamata “la ripa della Madonna”. 
Il papa Leone X nel 1515 elevò il tempio a dignità di Badia e lo concesse in padronato prima ai Caracciolo e poi ai De Leyva di Ascoli, feudatari di San Fele ed Atella. 
Dal secolo XVII in poi, venuta meno la dipendenza del Goleto, il monastero subì un graduale abbandono che portò al disfacimento delle sue strutture e al mantenimento della sola Chiesa.

Elisa Chieca

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